D: Nell’ambito della domanda di partecipazione ad una nuova gara, sono tenuto a dichiarare anche una precedente risoluzione contrattuale di tipo consensuale afferente allo svolgimento di servizi analoghi a quelli oggetto dell’appalto?
R: Al fine di rispondere al quesito proposto, è opportuno un sintetico inquadramento della fattispecie.
Ai sensi dell’art. 95, comma 1, lett. e), del nuovo Codice dei contratti pubblici, la stazione appaltante può escludere l’operatore economico qualora accerti “che l’offerente abbia commesso un illecito professionale grave, tale da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità, dimostrato dalla stazione appaltante con mezzi adeguati. All’articolo 98 sono indicati, in modo tassativo, i gravi illeciti professionali, nonché i mezzi adeguati a dimostrare i medesimi”, nel cui novero rientrano anche le “significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento” [art. 98, comma 3, lett. c), del D.Lgs. n. 36/2023)]
Ai sensi dei successivi commi 4 e 7 del citato art. 98, la valutazione di gravità della stazione appaltante deve tener conto, rispettivamente, del tempo trascorso dalla violazione (comma 4) nonché della “eventuale impugnazione” del provvedimento ritenuto idoneo a comprovare il contestato illecito professionale grave (comma 7).
Con riferimento alla rilevanza escludente di pregresse risoluzioni consensuali, si registrano in giurisprudenza almeno due orientamenti contrastanti.
In base ad un primo orientamento, la risoluzione consensuale non sarebbe assimilabile alla risoluzione per grave inadempimento, con conseguente insussistenza di qualsivoglia onere dichiarativo da parte del concorrente (TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 21.6.2021, n. 1512).
Secondo l’opposto orientamento ermeneutico, la stazione appaltante è tenuta a valutare il fatto storico della risoluzione contrattuale, “mentre non può essere riconosciuto un rilievo esclusivo alla tipologia di atto negoziale o provvedimento amministrativo che ne sia seguito (in tal senso, cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 dicembre 2020, n. 8211, in particolare par. 7.3); ciò proprio in ragione della necessità che ogni episodio professionale critico del concorrente sia autonomamente apprezzato da ciascuna stazione appaltante” (Cons. Stato, Sez. IV, 5.9.2022, n. 7709).
Più sfumata è la posizione assunta dalla sentenza Cons. Stato, Sez. V, 9.6.2022, n. 4708, la quale -dopo avere rammentato che – “con la formula risoluzione consensuale è possibile riferirsi a vicende del contratto anche molto diverse tra loro” – ha affermato che “nel perimetro degli obblighi dichiarativi rientri anche una precedente risoluzione consensuale intervenuta con altra stazione appaltante in fase di esecuzione di una procedura di gara quante volte la stessa sia dipesa da una condotta astrattamente idonea a far dubitare dell’integrità ed affidabilità dell’operatore economico in vista dell’affidamento dell’appalto”.
Venendo al quesito proposto – alla luce dei richiamati indirizzi giurisprudenziali – si ritiene opportuno che l’operatore dichiari nel proprio DGUE anche eventuali risoluzioni consensuali di appalti pubblici intervenute nel triennio antecedente alla partecipazione alla gara. Al fine di consentire alla stazione appaltante di valutare tutte le circostanze del caso concreto – ed eventualmente concludere per l’irrilevanza dell’episodio – è preferibile dare sintetica evidenza degli snodi fattuali salienti della vicenda nonché delle ragioni in diritto per cui il fatto non sia ascrivibile ad un illecito professionale.