1. Premessa – 2. Il quadro normativo nazionale e sovranazionale in materia di concessioni demaniali marittime – 3. La giurisprudenza europea e il caso Promoimpresa – 4.Il dictum delle Plenarie e la giurisprudenza della Corte di Cassazione – 5.Il recente intervento dell’AGCM – 6. Gli oneri incombenti sui Comuni – 7. La questione dell’indennizzo del gestore uscente – 8. L’ulteriore proroga fino al 2027
1. Premessa
Le concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricettivo costituiscono una componente fondamentale per il sistema-paese, non solo per il loro impatto economico, ma soprattutto per le conseguenze che producono sul patrimonio costiero. Attualmente, ci sono 27.335 concessioni balneariattive, i cui titolari, spesso a fronte di un canone annuo irrisorio, hanno sviluppato un vero e proprio business, investendo ingenti capitali.
Come ormai ben noto, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con due sentenze (n. 17 e 18 del 2021), è intervenuta sulla questione delle proroghe legali delle concessioni demaniali marittime, dichiarando la loro incompatibilità con il diritto dell’Unione Europea, in particolare con l’art. 49 del TFUE e l’art. 12 della direttiva CE n. 123 del 2006 (nota come direttiva Bolkestein), ritenuta direttamente applicabile in quanto chiara, precisa e incondizionata. Tuttavia, l’efficacia di queste sentenze è stata posticipata al 1° gennaio 2024, mediante una tecnica di modulazione degli effetti che ha suscitato numerose perplessità tra gli studiosi.
Peraltro, come si avrà modo di vedere nel prosieguo, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32559 del 2023 ha cassato l’adunanza plenaria n. 18 del 2021, per aver negato agli enti ricorrenti la legittimazione ad intervenire nel giudizio.
Ciò nonostante, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha continuato a ritenere applicabili i principi enunciati con le due sentenze gemelle, sull’assunto per cui ad essere cassata sarebbe stata solo la Plenaria n. 18 e non anche la n. 17.
Per contro il legislatore, con il decreto milleproroghe (d.l. 29 dicembre 2022, n. 198, conv. in L. 24 febbraio 2023, n. 14), ha modificato l’articolo 3 della legge n. 118/2022, prorogando dal 31 dicembre 2023 al 31 dicembre 2024 il termine di efficacia dei rapporti insistenti su beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali, con la possibilità di spostare ancora più in avanti detto termine, in particolare fino al 31 dicembre 2025, nel caso in cui le amministrazioni non riescano a completare nei termini le procedure di gare per motivate ragioni oggettive.
2. Il quadro normativo nazionale e sovranazionale in materia di concessioni demaniali marittime
Le concessioni demaniali marittime per uso turistico e ricreativo sono concessioni traslative che riguardano porzioni del demanio marittimo, spesso destinate alla gestione di stabilimenti balneari. Queste concessioni riguardano l’uso di beni che, ai sensi dell’art. 822 del codice civile, appartengono al cosiddetto demanio necessarioe sono regolamentate da una varietà di fonti, senza una normativa organica e unitaria. Per questo motivo, prima di analizzare le recenti decisioni giurisprudenziali in materia, è utile ripercorrere le modifiche legislative succedutesi nel tempo, per fornire al lettore una panoramica completa della situazione. Un primo riferimento normativo è il codice della navigazione, che all’art. 36, comma 1, stabilisce che “L’amministrazione marittima, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso, può concedere l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo“. Si tratta di una concessione ad uso particolare, in cui il bene è affidato a soggetti specifici indicati nel provvedimento concessorio, che informa anche l’attività degli stessi.
Il comma 1 dell’art. 37 prevede invece che, in caso di più richieste di concessione, sia preferito il richiedente che offra maggiori garanzie di un uso proficuo della concessione e si proponga di utilizzarla per un fine che, a giudizio dell’amministrazione, risponda a un interesse pubblico più rilevante. Tuttavia, due specifici istituti del diritto italiano hanno creato problemi di compatibilità con il diritto comunitario: il diritto di insistenza e il rinnovo automatico, previsti rispettivamente dall’art. 37, comma 2, del codice della navigazione e dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 400 del 1993, modificato dall’art. 10 della legge n. 88 del 2001. Il diritto di insistenza conferisce una preferenza agli attuali concessionari rispetto agli altri concorrenti quando l’amministrazione, alla scadenza della concessione, deve procedere a una nuova assegnazione del bene. Le interpretazioni di questo istituto sono state varie: secondo un primo orientamento, si tratta di un diritto soggettivo perfetto, tutelato in modo incondizionato; secondo un’altra tesi, è un limite all’esercizio della discrezionalità amministrativa. Tuttavia, con l’affermazione dei principi comunitari di non discriminazione, libertà di stabilimento e trasparenza, il diritto di insistenza è stato ridimensionato, assimilato a una prelazione civilistica e applicabile solo se il concessionario uscente offre condizioni identiche a quelle degli altri concorrenti. Nonostante questa reinterpretazione, l’Italia è stata soggetta a una procedura d’infrazione avviata dalla Commissione UE (n. 2008/4908), in quanto le concessioni, essendo beni economicamente contendibili, dovevano essere affidate tramite gara, in linea con i principi di concorrenza comunitari. Di conseguenza, l’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009 ha abrogato il comma 2 dell’art. 37 del codice della navigazione.
Il rinnovo automatico delle concessioni, introdotto dall’art. 10 della legge n. 88 del 2001, prevedeva una durata di sei anni, rinnovabile automaticamente per altri sei. Prima della modifica, il rinnovo automatico non esisteva. Successivamente, la legge n. 296 del 2006 (Legge Finanziaria 2007) ha stabilito una durata delle concessioni demaniali marittime tra 6 e 20 anni, in base all’entità e alla rilevanza economica delle opere da realizzare. Il sistema normativo italiano, basato sul diritto di insistenza e sul rinnovo automatico, entrava in conflitto con la normativa europea, in particolare con l’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE (Direttiva Bolkestein). Sebbene il legislatore italiano abbia eliminato il diritto di insistenza, ha continuato a prorogare le concessioni esistenti, posticipandone la scadenza al 31 dicembre 2020 con il d.l. n. 179 del 2012 e, successivamente, al 2033 con la legge n. 145 del 2018 (legge di bilancio 2019).Ed infatti, con il d.l. n. 34 del 2020 (Decreto Rilancio) ha confermato la proroga delle concessioni balneari fino al 2033 e sospeso i procedimenti amministrativi per la nuova assegnazione delle concessioni demaniali marittime. Questa ulteriore proroga ha suscitato critiche ed è stata oggetto di una nuova lettera di messa in mora inviata dalla Commissione UE all’Italia il 3 dicembre 2020, con cui veniva contestata la violazione dell’art. 49 TFUE e dell’art. 12 della direttiva servizi.
3. La giurisprudenza europea e il caso Promoimpresa
La legge n. 217 del 2011, nota come “legge comunitaria per il 2010“, era stata introdotta con l’obiettivo di risolvere la questione delle concessioni balneari, delegando al Governo il compito di riorganizzare la normativa settoriale. Questa riforma avrebbe dovuto essere completata entro 15 mesi dall’entrata in vigore della legge, seguendo specifici principi e criteri direttivi stabiliti all’art. 11. Tra questi principi figuravano l’individuazione di un termine minimo e massimo per la durata delle concessioni, l’introduzione di criteri per garantire la concorrenza e la libertà di stabilimento, la definizione di un equo indennizzo per i concessionari in caso di revoca, e l’organizzazione di una procedura trasparente per l’assegnazione delle concessioni.
Nonostante le intenzioni dichiarate, la delega rimase inattuata. Al contrario, con il decreto-legge n. 179 del 2012, il Governo aveva anzi disposto una proroga delle concessioni balneari fino al 31 dicembre 2020, mantenendo in vigore le vecchie normative. Questa situazione sollevò interrogativi sulla legittimità delle proroghe automatiche, spingendo i giudici italiani, nel 2016, a chiedere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea un parere sulla compatibilità di tali proroghe con il diritto europeo, in particolare con gli articoli 49, 56 e 106 del TFUE e con l’art. 12 della direttiva 123/2006/CE. I tribunali amministrativi italiani iniziarono infatti a criticare duramente il sistema di proroghe, evidenziando come questo meccanismo sostanzialmente perpetuasse un “diritto di insistenza” sulle concessioni esistenti, contrario ai principi di concorrenza.
L’Avvocato generale Maciej Szpunar, incaricato di esaminare la questione, concluse che il sistema italiano era incompatibile con il diritto dell’Unione, in quanto basato sul rinnovo automatico delle concessioni, anziché su una procedura di gara trasparente. Szpunar sottolineò che le concessioni balneari non potevano essere equiparate a locazioni commerciali e non rientravano nella nozione di “concessione di servizi” come definita dal diritto dell’Unione. Le concessioni balneari, infatti, riguardano l’esercizio di attività economiche su beni demaniali piuttosto che la prestazione di servizi stabiliti dall’amministrazione, e quindi ricadono nell’ambito di applicazione della direttiva servizi. Nonostante questa distinzione, l’Avvocato generale rilevò che, anche qualora si considerassero le concessioni come “concessioni di servizi”, le regole fondamentali del Trattato, come i principi di trasparenza e non discriminazione, avrebbero comunque richiesto una procedura competitiva per l’assegnazione delle concessioni, dato il loro evidente interesse transfrontaliero. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza del 14 luglio 2016 nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15 (Promoimpresa), confermò l’incompatibilità del sistema italiano con il diritto europeo. La Corte chiarì che le concessioni balneari devono essere considerate autorizzazioni ai sensi della direttiva Bolkestein e che il loro rinnovo automatico è contrario agli articoli 49 TFUE e 12 della direttiva 123/2006/CE. La Corte sottolineò inoltre che il rilascio di tali autorizzazioni deve avvenire attraverso una procedura trasparente e imparziale, che la proroga automatica delle concessioni non consente di realizzare. Pur riconoscendo che l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE permette agli Stati membri di considerare motivi imperativi di interesse generale nella regolazione della procedura di selezione, la Corte stabilì che ciò non giustifica la mancanza di una gara competitiva per l’assegnazione delle concessioni. Inoltre, la Corte respinse l’argomento secondo cui la tutela del legittimo affidamento dei concessionari potesse giustificare le proroghe automatiche, in quanto tali considerazioni richiedono una valutazione caso per caso. Infine, la Corte affrontò l’eventualità che i giudici nazionali potessero non riscontrare la scarsità delle risorse naturali, escludendo così l’applicabilità della direttiva servizi. Anche in questo scenario, la Corte dichiarò che l’art. 49 TFUE sarebbe comunque applicabile, in quanto le concessioni balneari riguardano il diritto di stabilimento e devono essere assegnate attraverso una procedura trasparente per evitare discriminazioni.
4. Il dictum delle Plenarie e la giurisprudenza della Corte di Cassazione
Il Presidente del Consiglio di Stato, prendendo atto del perdurante contrasto tra le disposizioni nazionali e i principi europei e del conflitto tra i giudici amministrativi, ha rimesso d’ufficio ex art. 99, comma 2, c.p.a talune questioni all’Adunanza Plenaria, chiedendo a quest’ultima di chiarire: 1) se sia doverosa, o no, la disapplicazione, da parte della Repubblica Italiana, delle leggi statali o regionali che prevedano proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative e, in caso di risposta affermativa, se tale attività spetti esclusivamente agli organi giurisdizionali o anche alle amministrazioni; 2) se, in conseguenza di tale obbligo disapplicativo, il provvedimento amministrativo che risulti contrario al diritto dell’Unione debba essere annullato d’ufficio dalla pubblica amministrazione ovvero sottoposto a riesame anche se coperto da giudicato; 3) se, in tale quadro, la proroga introdotta dall’art. 182, comma 2, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, come modificato dalla legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77, non risulti inapplicabile per contrasto col diritto dell’Unione europea, cosa debba intendersi per “aree oggetto di concessione alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
L’Adunanza Plenaria, con le sentenze gemelle n. 17 e 18 del 2021, nel confermare la ricostruzione operata dalla Corte di Giustizia nel caso Promoimpresa sopra menzionato, si è definitivamente pronunciata sulla vaexata quaestio sancendo: 1)l’obbligo di gara e la conseguente disapplicazione di tutte le disposizioni nazionali che prevedevano una proroga automatica della durata delle concessioni balneari, in quanto in contrasto con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE; 2) la decadenza automatica dei provvedimenti amministrativi di proroga senza necessità di un provvedimento di secondo grado da parte dell’amministrazione e ancorché venga in rilievo l’esistenza di un giudicato. In aggiunta il supremo Consesso della giustizia amministrativa, preso atto del significativo impatto socio economico che deriverebbe da una decadenza automatica di tutte le concessioni in essere e dei tempi tecnici richiesti alle amministrazioni al fine di predisporre le procedure di gara richieste, ha operato una particolare modulazione degli effetti della propria pronuncia, disponendo che le concessioni demaniali per finalità turistico-ricettive già in essere continuino ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023.
Anche la Corte di giustizia dell’Unione europea è ritornata sulla questione con la sentenza del 20 aprile 2023, in C-348/22 (Comune di Ginosa) confermando che l’art. 12 della direttiva Bolkestein esige di essere interpretato nel senso di obbligare gli Stati membri ad “applicare una procedura di selezione imparziale e trasparente tra i candidati potenziali, nonché il divieto di rinnovare automaticamente un’autorizzazione rilasciata per una determinata attività sono enunciati in modo incondizionato e sufficientemente preciso da poter essere considerati disposizioni produttive di effetti diretti”.
Senonché, come anticipato nella premessa, con sentenza n. 32559 del 23.11.2023 , la Corte di Cassazione – nella sua veste di giudice regolatore della giurisdizione – ha cassato la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 18 del 2021. Più nello specifico, le Sezioni Unite hanno annullato tale pronuncia per diniego di giurisdizioneaffermando che costituisce “motivo di giurisdizione”, deducibile avverso una sentenza del Consiglio di Stato sotto forma di diniego ovvero rifiuto della tutela giurisdizionale, quello con cui si denuncia che il giudice amministrativo ha dichiarato, in via pregiudiziale, l’inammissibilità dell’intervento, spiegato dinanzi a sé, da parte di un ente portatore di un interesse collettivo o di un ente territoriale, senza esaminare in concreto i contenuti dei loro statuti ovvero senza valutare la loro concreta capacità di farsi portatori degli interessi della collettività di riferimento.
Peraltro la giurisprudenza amministrativa successiva ha continuato a ritenere applicabili i principi enunciati dalle due adunanze Plenarie. Da ultimo, la sentenza Cons. Stato, Sez. VII, n. 4481 del 20.5.2024 ha ribadito che “sulla scia della giurisprudenza della Corte di Giustizia, dell’Adunanza plenaria nella sentenza n. 17 del 2021 e di tutta la menzionata giurisprudenza successiva (v., supra, § 13.1. nonché, infra, § 16.1.), che tutte le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – anche quelle in favore di concessionari che avessero ottenuto il titolo in ragione di una precedente procedura selettiva laddove il rapporto abbia esaurito la propria efficacia per la scadenza del relativo termine di durata prima del 31 dicembre 2023 (Cons. St, sez. VII, 19 marzo 2024, n. 2679: v. comunque, infra, § 20.4.) – sono illegittime e devono essere disapplicate dalle amministrazioni ad ogni livello, anche comunale, imponendosi, anche in tal caso, l’indizione di una trasparente, imparziale e non discriminatoria procedura selettiva“, con conseguente doverosa disapplicazione della normativa difforme.
5. Il recente intervento dell’AGCM
Sul tema delle concessioni demaniali marittime è recentemente intervenuta anche l’AGCM la quale, con la segnalazione del 9.8.2024, ha nuovamente richiamato i Comuni italiani riguardo alla gestione delle concessioni balneari, che ha provocato la protesta nota come sciopero degli ombrelloni, sottolineando la necessità di porre fine alle proroghe automatiche.
Più precisamente, l’Autorità ha espresso preoccupazione per il continuo rinnovo delle concessioni senza procedere a nuove gare pubbliche, pratica che – come si è evidenziato poc’anzi – si pone in insanabile contrasto con le normative europee sulla concorrenza.
L’Autorità infatti, così come i giudici nazionali ed europei, ritiene necessario, per il rilascio delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, che l’amministrazione concedente ricorra a procedure a evidenza pubblica, in applicazione dei principi generali a tutela della concorrenza espressi dall’articolo 49 TFUE e dall’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della Direttiva Servizi.
La proroga in favore dei precedenti concessionari, di contro, viola le norme sopra richiamate, in quanto elusiva della scadenza al 31 dicembre 2023 del periodo transitorio indicato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato e dunque volta a impedire, o comunque ritardare, l’applicazione della normativa euro-unitaria e l’apertura alla concorrenza del mercato delle concessioni demaniali marittime, così impedendo di cogliere i benefici che deriverebbero dall’affidamento attraverso procedure a evidenza pubblica.
L’assenza di una organica disciplina legislativa nazionale non può, del resto, tradursi in un legittimo motivo a sostegno della proroga della durata delle concessioni, tenuto anche conto della circostanza che la delega legislativa prevista all’articolo 4 della legge n. 118/2022 è scaduta senza essere stata esercitata.
Con riferimento invece al rilascio delle nuove concessioni, l’Autorità auspica che vengano previste forme procedimentali di avvio d’ufficio piuttosto che su istanza di parte. Il regime dell’evidenza pubblica, infatti, discendente dall’applicazione dell’articolo 12 della Direttiva Servizi, è volto a perseguire l’obiettivo di aprire il mercato delle concessioni demaniali marittime alla concorrenza e assicurare la par condicio tra i soggetti potenzialmente interessati.
A tal proposito, l’AGCM ha ritenuto necessario sollecitare gli enti concedenti, con la comunicazione in esame, affinché tutte le procedure selettive per l’assegnazione delle nuove concessioni siano svolte quanto prima e che l’assegnazione avvenga non oltre il 31 dicembre 2024.
6. Gli oneri incombenti sui Comuni
A fronte del quadro normativo attualmente vigente – e, in particolare, dell’inefficacia della normativa “domestica” in contrasto con gli obblighi discendenti dall’art. 12 della Direttiva Bolkestein – deve ritenersi che i Comuni siano tenuti sin da subitoa bandire le nuove gare per il ri-affidamento delle concessioni balneari scadute, non essendo ovviamente necessaria una normativa nazionale di recepimento. Ed anzi, la mancata indizione della procedura di gara è suscettibile di comportare l’insorgenza di profili di responsabilit – anche erariale – a carico dell’Ente pubblico inadempiente.
Ulteriori profili di responsabilità erariale a carico dei Comuni possono poi sorgere in caso di mancata riscossione dei tributi. Sul punto, la giurisprudenza contabile ha tuttavia chiarito che l’occupazione abusiva incide sul potere di riscossione dei tributi da parte del comune. Ed infatti la Corte dei Conti Puglia, con la sentenza n. 19 del 20.1.2024, ha chiarito che in materia di responsabilità erariale, un ente locale può esercitare il potere di accertamento e riscossione di tributi solo dopo aver verificato che l’occupazione di un’area demaniale non sia abusiva. Il caso coinvolgeva due ex dirigenti di un comune, accusati dal Procuratore regionale di aver causato un danno all’ente pubblico a causa della mancata riscossione dell’ICI/IMU da parte di un concessionario di un’area demaniale. I dirigenti, però, sostenevano che non esisteva alcun danno erariale poiché i concessionari occupavano abusivamente l’area demaniale e quindi non vi erano i presupposti per esercitare il potere impositivo. La Corte dei Conti Puglia ha escluso la responsabilità erariale dei dirigenti, evidenziando che era cruciale verificare se il Comune avesse il potere di imporre il tributo per le aree in questione, cosa possibile solo se l’occupazione non era abusiva. Nel caso specifico, era necessario stabilire se la concessione rilasciata nel 1998 fosse ancora valida nel periodo 2012-2014, nonostante non fosse stata né rinnovata né prorogata formalmente fino a un intervento amministrativo avvenuto solo nel 2020. Il Collegio ha ritenuto che la concessione non fosse valida per gli anni contestati, rigettando l’accusa del Procuratore regionale, basata sulla presunta validità della concessione negli anni 2012-2014 ed ha quindi escluso la legittimità dell’imposizione fiscale per quegli anni.
7. La questione dell’indennizzo del gestore uscente
Altra questione connessa all’affidamento delle concessioni demaniali marittime riguarda il tema dell’indennizzo dovuto al gestore uscente. Vengono, in particolare, in rilievo l’art. 49, comma 1, del codice della navigazione, ai sensi del quale “Salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato” e l’art. 1, comma 251, L. n. 296/2006, cd. Legge finanziaria 2007, che prevede che l’acquisizione al demanio pubblico di beni costruiti dal concessionario comporti l’applicazione a quest’ultimo di un canone maggiorato, atteso che tali opere vanno considerate come pertinenze del demanio pubblico.
Proprio sulla legittimità dell’art. 49 del codice della navigazione si è recentemente pronunciata anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la “sentenza Società Italiana Imprese Balneari Srl” dell’11 luglio 2024 (causa C-598/22). Con tale pronuncia i giudici europei hanno affermato che non costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento, prevista dall’art. 49 del TFUE, una norma nazionale secondo la quale, alla scadenza di una concessione per l’occupazione del demanio pubblico e salva una diversa pattuizione nell’atto di concessione, il concessionario è tenuto a cedere, “immediatamente, gratuitamente e senza indennizzo”, le opere non amovibili da esso realizzate nell’area concessa, anche in caso di rinnovo della concessione. La vicenda che ha dato origine alla rimessione alla CGUE vedeva contrapposti la SIIB (Società Italiana Imprese Balneari), che dal 1928 ha in concessione lo stabilimento balneare Bagni Ausonia, e il Comune di Rosignano Marittimo. Nel 2007, alla scadenza di una delle tante concessioni rinnovate nel corso dei decenni, il Comune acquisiva alcune tra le opere che la SIIB aveva costruito negli anni sullo stabilimento e che qualificava come “amovibili”, classificandole tra le pertinenze del demanio marittimo. In sede di acquisizione di tali strutture l’ente non solo non riconosceva alla SIIB alcun indennizzo/risarcimento a fronte dell’acquisizione di tali opere, ma, al momento dell’ennesimo rinnovo della concessione, prevedeva dei canoni di concessione maggiorati, in virtù del maggior valore che lo stabilimento aveva acquisito proprio in ragione di tali strutture.
Il Consiglio di Stato, in sede di rimessione alla CGUE, rilevava che “l’articolo 49 del codice della navigazione viene interpretato nel senso che l’acquisizione dei beni da parte dello Stato si produce automaticamente alla scadenza della concessione, anche in caso di rinnovo di quest’ultima, dal momento che tale rinnovo determina un’interruzione della continuità tra i titoli di occupazione del demanio pubblico. Invece, in caso di proroga della concessione prima della sua normale scadenza, le opere realizzate dai concessionari sul demanio pubblico resterebbero di proprietà privata esclusiva del concessionario fino alla scadenza effettiva o alla revoca anticipata della concessione e nessun canone sarebbe dovuto per quanto riguarda tali opere”. Per i giudici amministrativi, dunque, l’acquisizione a titolo gratuito al demanio si giustificherebbe con la necessità di garantire che le opere non amovibili destinate a rimanere su quest’ultimo siano nella piena disponibilità del concedente e non determinerebbe, quindi, una espropriazione senza indennizzo, essendo subordinata al consenso delle parti, potendo intervenire solo in assenza di un diverso accordo contenuto nell’atto di concessione.
Orbene, ad avviso dei giudici europei, le norme del codice della navigazione non sono incompatibili con i trattati europei che garantiscono libertà di impresa perché tutti gli operatori, quando presentano un’offerta per ottenere una concessione, non possono ignorare che le concessioni abbiano una durata determinata e sono revocabili. La CGUE ha infatti precisato che “l’articolo 49, primo comma, TFUE vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. Secondo costante giurisprudenza, devono considerarsi quali restrizioni a tale libertà tutte le misure che, seppur applicabili senza discriminazioni fondate sulla nazionalità, vietino, ostacolino o rendano meno attrattivo l’esercizio della libertà garantita dall’articolo 49 TFUE”.
Pertanto, non può dirsi in contrasto con la normativa europea una normativa nazionale opponibile a tutti gli operatori esercenti delle attività nel territorio nazionale, come è pacificamente l’art. 49, comma1, del codice della navigazione, “la quale non abbia come scopo di disciplinare le condizioni relative allo stabilimento degli operatori economici interessati e i cui eventuali effetti restrittivi sulla libertà di stabilimento siano troppo aleatori e troppo indiretti perché l’obbligo da essa dettato possa essere considerato idoneo a ostacolare questa libertà”. Del resto, prosegue la Corte, la norma in questione “si limita a trarre le conseguenze dei principi fondamentali del demanio pubblico”. Infatti, “l’appropriazione gratuita e senza indennizzo, da parte del soggetto pubblico concedente, delle opere non amovibili costruite dal concessionario sul demanio pubblico costituisce l’essenza stessa dell’inalienabilità del demanio pubblico”. I giudici europei, dunque, concludono affermando il seguente principio di diritto: “l’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una norma nazionale secondo la quale, alla scadenza di una concessione per l’occupazione del demanio pubblico e salva una diversa pattuizione nell’atto di concessione, il concessionario è tenuto a cedere, immediatamente, gratuitamente e senza indennizzo, le opere non amovibili da esso realizzate nell’area concessa, anche in caso di rinnovo della concessione”.
8. L’ulteriore proroga fino al 2027
Con l’entrata in vigore del Decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi derivanti da atti dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16 settembre 2024, n. 217, sono state introdotte nuove disposizioni relative alle concessioni balneari. In primo luogo, con l’art. 1 del suddetto decreto è stata prorogata sino al 30 settembre 2027 l’efficacia: 1) delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per l’esercizio delle attività turistico-ricreative e sportive di cui all’articolo 01, comma 1, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, di quelle gestite dalle società e associazioni sportive iscritte al registro del CONI, istituito ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, o, a decorrere dalla sua operatività, al Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche di cui al decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 39, di quelle gestite dagli enti del Terzo settore di cui all’articolo 4, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117; 2) dei rapporti aventi ad oggetto la gestione di strutture turistico-ricreative e sportive in aree ricadenti nel demanio marittimo per effetto di provvedimenti successivi all’inizio dell’utilizzazione. Le concessioni per cui le relative procedure sono state già indette ed avviate prima dell’entrata in vigore del decreto, invece, mantengono la propria validità, con conseguente scadenza del rapporto concessorio in essere al momento dell’affidamento al nuovo soggetto individuato.
La proroga mira a garantire un’organizzazione efficace nelle procedure di affidamento delle nuove concessioni, senza compromettere quelle già avviate. Le procedure avviate dal 17 settembre 2024 dovranno seguire le modalità previste dalla legge del 5 agosto 2022, n. 118, modificata dal D.L. n. 131/2024. In caso di impedimenti oggettivi, l’autorità competente potrà estendere i termini delle concessioni fino al 31 marzo 2028. Inoltre è previsto che il MIT dovrà inviare due relazioni sullo stato delle procedure selettive: una entro il 31 luglio 2027, e una finale entro il 30 giugno 2028.
Quanto all’affidamento delle nuove concessioni, il decreto in questione ha provveduto a modificare anche anche l’art. 4 della Legge n. 118/2022, che riporta le disposizioni in materia di affidamento delle concessioni. In particolare, l’ente concedente dovrà avviare la procedura almeno 6 mesi prima della scadenza della concessione e nel bando di gara dovranno essere indicati: a) l’oggetto e la finalità della concessione, con specificazione dell’ubicazione, dell’estensione, delle caratteristiche morfologiche e distintive dell’area demaniale e delle opere di difficile rimozione insistenti, compresi eventuali interventi manutentivi o di adeguamento strutturale e impiantistico necessari per il nuovo affidamento; b) il valore degli eventuali investimenti non ammortizzati, nonché gli obblighi di cui al comma 9; c) la durata della concessione; d) la misura del canone; e) il valore dell’indennizzo di cui al comma 9, nonché i termini e le modalità di corresponsione dello stesso; f) la cauzione da prestarsi all’atto della stipula dell’atto di concessione a garanzia del pagamento del canone e degli altri obblighi gravanti sul concessionario; g) i requisiti di partecipazione previsti dagli articoli 94 e 95 del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36; h) i requisiti di capacità tecnico-professionale dei partecipanti, adeguati e proporzionati alla concessione oggetto di affidamento e che agevolano la partecipazione delle microimprese, delle piccole imprese e delle imprese giovanili; i) le modalità e il termine, non inferiore a trenta giorni, per la presentazione delle domande; l) il contenuto della domanda e la relativa documentazione da allegare, ivi compreso il piano economicofinanziario atto a garantire la sostenibilità economica del progetto e che include la quantificazione degli investimenti da realizzare; m) le modalità di svolgimento del sopralluogo presso l’area demaniale oggetto di affidamento; n) le modalità e i termini di svolgimento della procedura di affidamento; o) i criteri di aggiudicazione; p) lo schema di disciplinare della concessione, contenente le relative condizioni; q) i motivi dell’eventuale mancata suddivisione della concessione in lotti e l’eventuale numero massimo di lotti che possono essere aggiudicati al medesimo offerente.
È stato inoltre previsto che la durata della concessione non potrà essere inferiore a 5 anni e superiore a 20 anni fermo restando che, l’individuazione della durata entro tale fascia dovrà avvenire sulla base dei tempi ritenuti necessari per il recupero degli investimenti e la loro remunerazione previsti dal PEF presentato dall’aggiudicatario.