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La scelta del contratto collettivo a base di gara tra libertà d’impresa e tutela dei lavoratori

Pubblicato il 25 Febbraio 2024

da: Antonella Mascolo

Indice: 1. Il nuovo assetto del D.lgs. 36/2023 – 2. La portata tendenzialmente cogente del CCNL posto a base di gara – 3. Questioni problematiche connesse alla scelta del CCNL – 4. La responsabilità della stazione appaltante nella scelta del contratto collettivo da porre a base di gara

1. Il nuovo assetto del D.lgs. 36/2023

Il nuovo Codice degli appalti prevede espressamente che al personale impiegato nell’esecuzione dell’appalto sia applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente (art. 11 del D.Lgs. n. 36/2023).

Correlativamente, l’art. 102 del D.Lgs. n. 36/2023 impone che gli operatori economici assumano l’impegno – già in sede di partecipazione alla gara – di «garantire l’applicazione dei contratti collettivi nazionale e territoriali di settore, tenendo conto, in relazione all’oggetto dell’appalto e alle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nonché garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare».

Rafforzando ulteriormente la portata di tale onere, il successivo art. 107, comma 2, del Codice attribuisce alle stazioni appaltanti la facoltà di non procedere all’aggiudicazione dell’appalto qualora l’offerta dell’aggiudicatario non soddisfi gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dai contratti collettivi.

2. La portata tendenzialmente cogente del CCNL posto a base di gara

Rispetto al D.Lgs. n. 50/2016, molteplici – e rilevanti – sono le novità introdotte dal nuovo Codice.
Anzitutto, viene cambiato il punto di riferimento per la scelta del contratto collettivo applicabile: non più l’attività prevalente esercitata dall’impresa, bensì le prestazioni oggetto dell’appalto da eseguire, indipendentemente quindi dal settore merceologico in cui l’impresa partecipante prevalentemente si trovi ad operare. Inoltre, viene espressamente previsto che il contratto collettivo sia scelto tra quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (i c.d. contratti leader).
Senza dubbio innovativa è, poi, anche la previsione di cui al comma 2 dell’articolo 11, con cui viene imposto alla stazione appaltante di indicare già negli atti di gara il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto. Il contratto collettivo individuato negli atti di gara assume, così, portata tendenzialmente cogente per il concorrente, il quale può discostarsene – indicando nella propria offerta un differente contratto – solo a condizione che il diverso contratto collettivo prescelto «garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante» (art. 11, comma 3, D.Lgs. 36/2023). In tal caso, ai sensi del comma 4 della medesima disposizione, la stazione appaltante è tenuta, prima di procedere all’affidamento o all’aggiudicazione, ad acquisire la dichiarazione con la quale l’operatore economico individuato si impegna ad applicare il contratto collettivo nazionale e territoriale indicato nell’esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto per tutta la sua durata, ovvero la dichiarazione di equivalenza delle tutele.

3. Questioni problematiche connesse alla scelta del CCNL 

Nondimeno, l’impostazione del nuovo Codice di individuare il CCNL da porre a bade di gara presenta diversi profili problematici.

In primo luogo, l’individuazione del contratto collettivo di riferimento può non essere sempre agevole, in particolare nei casi di sovrapposizione tra distinti settori di attivit (e, quindi, di astratta applicabilità di più contratti collettivi corrispondenti alle attività oggetto di affidamento) nonché nei casi in cui, per uno stesso settore, siano applicati diversi CCNL provenienti da parti sociali parimenti rappresentative (in questi termini, G. Lezzi, Appalti a rischio contenzioso con il nuovo obbligo di indicazione del Ccnl nei bandi, in Il Sole 24 ore, 13.6.2023). 

Inoltre, non è chiaro in che termini vada effettuata la valutazione di equivalenza del contratto collettivo impiegato dall’appaltatore rispetto a quello posto a base di gara, anche considerato che risulta spesso difficile compiere una valutazione di piena “omogeneità” tra due contratti collettivi (ad esempio, un contratto collettivo potrebbe prevedere una retribuzione tabellare inferiore, ma maggiori tutele), specie nei settori merceologici – ad esempio quello dei servizi –  caratterizzati dalla contemporanea presenza di plurimi CCNL stipulati da associazioni rappresentative sul piano nazionale. Com’è evidente, una valutazione di tale stregua in ordine alla “compatibilità” e alla “equivalenza” tra i diversi possibili CCNL applicabili, necessariamente di carattere discrezionale è particolarmente complessa ed è suscettibile di tradursi in un ulteriore fattore di conflittualit tra concorrenti e stazione appaltante.

Più a fondo ancora, ove interpretata (come sembrerebbe evincersi dal suo tenore testuale, fermo restando la “mitigazione”, contenuta al comma 3 dell’art. 11) nel senso di imporre all’appaltatore l’applicazione di un determinato contratto collettivo, tale disposizione è suscettibile di presentare seri profili di contrasto con gli artt. 39 e 41 della Costituzione. Del resto, già sotto la vigenza del vecchio Codice, il Consiglio di Stato aveva posto in evidenza come «l’applicazione di un determinato collettivo rientri nella libertà negoziale delle parti di modo che la legge di gara non può certamente vincolare con obbligo presidiato da sanzione espulsiva i concorrenti all’applicazione di un determinato contratto collettivo in luogo di un altro)» (Cons. Stato, Sez. V, 15.1.2024, n. 453).

Tale profilo di possibile contrasto costituzionale è stato specificatamente attenzionato nella Relazione di accompagnamento al nuovo Codice, salvo poi essere ritenuto insussistente in quanto «la previsione non pare in contrasto con l’art. 39 Cost. in quanto non è diretta a estendere ex lege ed erga omnes l’efficacia del contratto collettivo, ma si limita a indicare le condizioni contrattuali che l’aggiudicatario deve applicare al personale impiegato, qualora, sulla base di una propria e autonoma scelta imprenditoriale, intenda conseguire l’appalto pubblico, restando libero di applicare condizioni contrattuali diverse nello svolgimento dell’attività imprenditoriale diversa; e restando libero di accettare o non la clausola dell’appalto pubblico oggetto dell’aggiudicazione (accettando, quindi, anche l’esclusione dalla procedura)».

Nella Relazione viene anche evidenziato che tale previsione non confligge con la libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., tenuto conto che la libera iniziativa economica «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale», con la conseguenza che la scelta di indicare il CCNL applicabile alle prestazioni oggetto di gara debba intendersi giustificato proprio alla luce di questo referente costituzionale.

Su questo crinale, in dottrina si è affermato che lo stesso contratto collettivo – a cui le clausole sociali contribuiscono a dare vigore – riveste un ruolo innato di strumento di regolazione della concorrenza, nella misura in cui «affinché sia assicurata e massimizzata la concorrenza nel mercato come richiesto dall’art. 41 Cost., deve essere in qualche misura limitata la concorrenza nell’accesso al mercato» M. Forlivesi, Le clausole sociali negli appalti pubblici: il bilanciamento possibile tra tutela del lavoro e regioni del mercato, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, 275, 2015). Le clausole sociali rappresenterebbero, secondo quest’ottica, una restrizione della concorrenza “all’interno” del mercato per piegarlo al perseguimento di finalità ugualmente aventi rango costituzionale.

Nondimeno, è innegabile che l’affermazione del carattere (tendenzialmente) cogente del CCNL prescelto dalla stazione appaltante finisca per frustrare la ratio pro-concorrenziale del settore, assottigliando la platea dei potenziali concorrenti alle sole imprese che applichino (o si impegnino ad applicare) il contratto collettivo ex ante individuato dalla stazione appaltante, anche qualora esso non sia il più confacente alla propria struttura aziendale. In questi casi, ossia nelle ipotesi in cui l’operatore economico applichi un contratto collettivo diverso, ma ugualmente protettivo nei confronti dei lavoratori, la compressione della libertà di iniziativa economica risulterebbe del tutto ingiustificata, non potendosi ragionevolmente invocare il contrappeso dell’utilità sociale.

Ulteriore elemento di frizione con le istanze pro-concorrenziali riguarda, infine, la posizione delle imprese non italiane, le quali si troverebbero dinanzi ad un ostacolo alla libertà di prestare servizi in quegli stessi minimi di trattamento, se superiori a quelli applicati ai propri dipendenti.

4. La responsabilità della stazione appaltante nella scelta del contratto collettivo

L’affermazione del carattere cogente del CCNL individuato dalla stazione appaltante rischia, insomma, di porre seri problemi di compatibilità con la disciplina europea e costituzionale, che non si ritiene possano essere risolti – come superficialmente la Relazione di accompagnamento al Codice prova a fare – mediante il richiamo al referente costituzionale dell’utilità sociale.

Innegabilmente, ogni qualvolta interviene sulle clausole di trattamento dei lavoratori nei contratti pubblici, il legislatore viene a trovarsi tra due fuochi: da un lato, affidare esclusivamente alle dinamiche del mercato concorrenziale la scelta del CCNL da applicare può aprire il varco a fenomeni di dumping sociale; dall’altro, l’imposizione di un contratto collettivo di riferimento, è suscettibile di avere rilevanti riflessi sia sulla libertà d’impresa che sulle stesse tutele dei lavoratori. 

Invece di provare a comporre tali opposte istanze, la soluzione del Codice è stata, piuttosto, quella di demandare alle stazioni appaltanti la scelta relativa al miglior contratto collettivo. Scelta che – come si è visto poc’anzi – non è sempre agevole, sia per la difficoltà di individuare il contratto collettivo di riferimento sia per la compressione delle scelte organizzative ed economiche delle imprese partecipanti, con conseguente rischio di innescare ulteriori conflittualità in sede di gara.

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