Indice: 1. Dall’origine pretoria dell’istituto alla sua codificazione – 2. I requisiti – 3. L’in house nel nuovo Codice appalti pubblici. – 4. L’in house come modello di gestione dei servizi pubblici locali – 5. La portata dell’onere motivazionale
1. Dall’origine pretoria dell’istituto alla sua codificazione
L’affidamento in house rappresenta un modello organizzativo per mezzo del quale la pubblica amministrazione reperisce prestazioni a contenuto negoziale servendosi di un ente strumentale sottoposto alla propria direzione e controllo, in luogo di esperire il ricorso mercato.
Tale paradigma organizzativo integra una modalità di affidamento alternativa rispetto all’outsourcing, per effetto della quale una pubblica amministrazione si avvale – al fine di reperire determinati beni e servizi ovvero per erogare alla collettività prestazioni di pubblico servizio – di un soggetto sottoposto al proprio penetrante potere di direzione e controllo.
Originariamente priva di specifici referenti normativi, la disciplina dell’affidamento in house è stata il frutto dell’elaborazione pretoria della Corte di Giustizia dell’Unione europea la quale, a partire dalla nota sentenza Teckal (Corte Giust. 18.11.1999, C-107/1998), ha progressivamente codificato i criteri in base ai quali può considerarsi legittimo l’affidamento diretto di appalti e servizi pubblici, in deroga al generale principio della gara pubblica. Più nello specifico, con tale pronuncia, la Corte di Giustizia ha affermato che l’affidamento diretto di appalti e concessioni è consentito tutte le volte in cui l’organismo affidatario, ancorché dotato di autonoma personalità giuridica, sia sostanzialmente riconducibile ad una mera articolazione internadell’amministrazione affidante. In tale ipotesi, non sussistendo un’alterità sostanziale tra l’amministrazione ed il soggetto affidatario, non viene in rilievo un effettivo ricorso al mercato, bensì una forma di autoproduzione ad opera della stessa amministrazione affidante, con conseguente insussistenza dell’obbligo di indire una gara pubblica.
Sulla scorta degli indici elaborati dalla Corte di Giustizia, l’istituto è stato codificato nell’ordinamento europeo ad opera dell’art. 12 della direttiva 2014/24/UE, per i settori ordinari, dell’art. 17 della direttiva 2014/23/UE, per le concessioni, e dell’art. 28 della direttiva 2014/25/UE per i settori speciali.
In ambito nazionale, recependo tali direttive, l’istituto è stato per la prima volta codificato dall’art. 5, co. 1, del D.Lgs. n. 50 del 2016 e dall’art. 16 e ss. del D.Lgs. 175/2016 e, in tempi più recenti, dall’art. 7 del d.lgs. n. 36 del 2023 e dall’art. 17 del d.lgs. n. 201 del 2022.
2. I requisiti necessari
Ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 175 del 2016 una concessione o un appalto pubblico, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione del presente codice ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:1) l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore eserciti sulla persona giuridica affidataria un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (elemento strutturale del rapporto in house); 2) oltre l’80% delle attivitdella persona giuridica controllata sia effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’Amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’Amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi (elemento funzionale del rapporto in house); 3) nella persona giuridica controllata non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitino un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Per quanto concerne il requisito del controllo analogo, l’art. 2, lett. c), del D.Lgs. 175/2016 precisa che esso può considerarsi sussistente esclusivamente ove l’amministrazione aggiudicatrice eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Nell’elaborazione della giurisprudenza europea (seguita in ciò dalla giurisprudenza nazionale) il controllo analogo consiste in una forma di etero-direzione della società, tale per cui i poteri di governance non appartengono agli organi amministrativi, ma al socio pubblico controllante che si impone a questi ultimi con le proprie decisioni.
In adesione al modello delineato dalla Corte di Giustizia a partire dalla menzionata sentenza Teckal, quindi, il legislatore ha fatto propria un’accezione “sostanzialista” della nozione di controllo analogo, richiedendo, ai fini della concreta configurabilità del requisito, che l’amministrazione aggiudicatrice sia in grado di esercitare sul soggetto affidatario un controllo di carattere sostanziale, tale da consentirle di etero-dirigerne le più importanti vicende societarie. Peraltro, proprio al fine di rafforzare la posizione del soggetto pubblico nella compagine societaria, l’art. 16, co. 4, del D.Lgs. n. 175 del 2016 conferisce agli statuti delle società in house la facoltà di derogare ad alcune disposizioni del codice civile. In particolare: 1) gli statuti delle società per azioni possono contenere clausole in deroga delle disposizioni dell’articolo 2380-bis c.c. (amministrazione della società nel sistema di governance tradizionale) e dell’art. 2409-novies c.c. (amministrazione della società nel sistema di governance dualistico); 2) gli statuti delle società a responsabilità limitata possono prevedere l’attribuzione all’ente o agli enti pubblici soci di particolari diritti, ai sensi dell’articolo 2468, co. 3, c.c.; 3) in ogni caso, i requisiti del controllo analogo possono essere acquisiti anche mediante la conclusione di appositi patti parasociali, i quali possono avere durata superiore a cinque anni, in deroga all’articolo 2341-bis, co. 1, c.c..
In secondo luogo, ai fini della configurabilità dell’in house, l’art. 16, comma 3, del D.Lgs. 175/2016 richiede, sul piano funzionale, che l’ente aggiudicatario realizzi la parte più importante della propria attività in favore dell’ente che lo controlla, svolgendo almeno l’80% delle proprie attività in esecuzione di compiti ad esso affidati dall’Amministrazione aggiudicatrice controllante o da altri soggetti a propria volta controllati dal medesimo soggetto pubblico.
Al fine di determinare correttamente tale percentuale di rilevanza, la disposizione in esame impone di prendere in considerazione il fatturato totale medio o, in alternativa, un’altra idonea misura basata sull’attività, quale i costi sostenuti dal soggetto affidatario nei settori dei servizi, delle forniture e dei lavori nel triennio antecedente all’aggiudicazione dell’appalto o della concessione.
Tuttavia, se a causa della data di costituzione o di inizio dell’attività ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attività, il fatturato o la misura alternativa basata sull’attività non sia disponibile o non sia più pertinente, è sufficiente dimostrare, in base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività concretamente adottata sia effettivamente credibile. L’art. 16, co. 3-bis, del D.Lgs. n. 175 del 2016 precisa che la produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato è consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale della società.
In caso di mancato rispetto di tale limite quantitativo, viene in rilievo un’ipotesi di grave irregolarità ai sensi dell’articolo 2409 c.c. e dell’articolo 15 del decreto stesso, sanabile se, entro tre mesi dalla data in cui l’irregolarità si è manifestata, la società rinunci a una parte dei rapporti di fornitura con soggetti terzi, sciogliendo i relativi rapporti contrattuali, ovvero rinunci agli affidamenti diretti ricevuti da parte dell’ente o degli enti pubblici soci, sciogliendo i relativi rapporti. In tale ultima ipotesi, le attività precedentemente affidate alla società controllata devono essere riaffidate, dall’ente o dagli enti pubblici soci, mediante procedure competitive regolate dalla disciplina in materia di contratti pubblici, entro i sei mesi successivi allo scioglimento del rapporto contrattuale.
Infine, terzo elemento necessario ai fini della configurabilità degli affidamenti in house è rappresentato dalla partecipazione pubblica totalitaria.
Superando l’indirizzo pretorio secondo cui la presenza di un socio privato nella compagine societaria ha l’effetto di precludere ex se l’effettiva configurabilità del requisito del controllo analogo, la disposizione in esame consente, infatti, l’affidamento in house anche a favore di una società mista, a condizione che la partecipazione privata nell’organismo controllato sia obbligatoriamente prescritta da una norma di legge nazionale, non sia in contrasto con gli obiettivi comuni fissati nei Trattati e che il partner privato non eserciti sulla compagine societaria un’influenza dominante.
Dal tenore della disposizione non è tuttavia chiaro se tale modello organizzativo sia da ricondurre entro lo schema legale della società mista o se costituisca, piuttosto, uno schema societario “atipico” in cui, premessa la necessità della gara per la scelta del socio privato, non viene più richiesta alcuna procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento dell’appalto o della concessione.
3. L’in house providing nel nuovo Codice degli appalti
In recepiemento delle direttive europee, il nuovo Codice degli appalti ha tenuto ferma la piena legittimità del ricorso all’in house providing, a condizione che sussistano tutti i requisiti sopra elencati.
Ed infatti, in base a quanto sancito dal d.lgs. n. 36 del 2023, il ricorso all’in-house costituisce corollario del principio di auto-organizzazione amministrativa di cui sono titolari le amministrazioni e gli enti pubblici.
Più nel dettaglio, l’art. 7 del nuovo Codice dei contratti ha introdotto il principio di auto-organizzazione della P.A., in forza del quale quest’ultima è libera di decidere se autoprodurre la prestazione, rivolgersi al mercato o, per esempio, cooperare con altre PP.AA. con un partenariato pubblico-pubblico. Il d.lgs.30/2023 porta con sé una prospettiva decisamente nuova rispetto a quanto disciplinato dal vecchio Codice degli appalti: la scelta di ricorrere all’in house providing non riveste più carattere secondario rispetto al libero mercato, ma riveste carattere alternativo a quest’ultimo, essendo espressione del principio di auto-organizzazione amministrativa.
Del resto, se è vero che il comma 2 dell’art. 7 del nuovo Codice richiede sempre l’obbligo di motivazione, non sembra più richiesta una presa d’atto del fallimento del mercato, risultando sufficiente che venga dato atto nella motivazione dei maggiori vantaggi che il ricorso all’in house providing può assicurare.
Segnatamente, l’art. 7 comma 2, dopo aver disposto che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono affidare direttamente a società in house lavori, servizi o forniture, nel rispetto dei principi del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato, ha previsto che in tal caso le stazioni appaltanti devono adottare “per ciascun affidamento un provvedimento motivato in cui danno conto dei vantaggi per la collettività, delle connesse esternalità e della congruità economica della prestazione, anche in relazione al perseguimento di obiettivi di universalità, socialità, efficienza, economicità, qualità della prestazione, celerità del procedimento e razionale impiego di risorse pubbliche. In caso di prestazioni strumentali, il provvedimento si intende sufficientemente motivato qualora dia conto dei vantaggi in termini di economicità, di celerità o di perseguimento di interessi strategici. I vantaggi di economicità possono emergere anche mediante la comparazione con gli standard di riferimento della società Consip S.p.a. e delle altre centrali di committenza, con i parametri ufficiali elaborati da altri enti regionali nazionali o esteri oppure, in mancanza, con gli standard di mercato”.
4. L’in house come modello di gestione dei servizi pubblici locali
Con riferimento ai servizi pubblici locali, l’articolo 14 del D.lgs. n. 201/2022 contempla tre modalità di gestione alternative: 1) l’affidamento a terzi mediante procedura ad evidenza pubblica secondo la disciplina dei contratti pubblici; 2) l’affidamento a società mista, nel rispetto della disciplina del D.lgs. 19 agosto 2016, n. 175; 3) l’affidamento a società in house, nei limiti e nelle modalità di cui al D.Lgs. n. 175/2016.
Quale che sia la modalità di gestione prescelta, l’ente procedente è tenuto a fornire un’analitica motivazionedella propria scelta, trasfusa in un’apposita relazione contenente: 1) l’analisi delle caratteristiche tecniche ed economiche del servizio da prestare; 2) la situazione delle finanze pubbliche, nonché dei costi per l’ente locale e per gli utenti; 3) l’analisi dei risultati che si avrebbero nel caso in cui si ricorresse a forme alternative di gestione; 4) l’esame della precedente gestione del medesimo servizio sotto il profilo degli effetti sulla finanza pubblica, della qualità del servizio offerto, dei costi per l’ente locale e per gli utenti e degli investimenti effettuati.
All’affidamento in house è dedicato l’art. 17 del Testo unico. Tale disposizione, al primo comma, fa rinvio ai limiti e alle modalità già previsti e stabiliti in materia di contratti pubblici e di cui al Testo unico in materia di società partecipate. Il comma 2, invece, prevede che la scelta del modello in house sia assunta nel rispetto di un preciso obbligo motivazionale qualora si tratti di affidamenti in house di importo superiore alle soglie di rilevanza europea in materia di contratti pubblici.
In tali casi, infatti, fatto salvo il divieto di artificioso frazionamento delle prestazioni, la deliberazione di affidamento del servizio deve spiegare le ragioni del mancato ricorso al mercato ai fini di un’efficiente gestione del servizio, illustrando i benefici per la collettivit della forma di gestione prescelta con riguardo agli investimenti, alla qualità del servizio, ai costi dei servizi per gli utenti, all’impatto sulla finanza pubblica, nonché agli obiettivi di universalità, socialità, tutela dell’ambiente e accessibilità dei servizi, anche in relazione ai risultati conseguiti in eventuali pregresse gestioni in house.
A tal fine l’ente procedente può avvalersi degli atti e degli indicatori (costi dei servizi, schemi-tipo, indicatori e livelli minimi di qualità dei servizi) predisposti dalle competenti autorità di regolazione di settore, nonché tenere conto dei dati e delle informazioni risultanti dalle verifiche periodiche a cura degli enti locali sulla situazione gestionale, previste dal successivo articolo 30 del medesimo testo.
Come evidenziato nella relazione illustrativa al d.lgs. n. 201 del 2022, si tratta di una formulazione in larga parte analoga a quella contenuta nell’articolo 192 del d.lgs. n. 50 del 2016 (disposizione non trasfusa nel nuovo Codice degli appalti), la quale parimenti imponeva un onere di motivazione rafforzato per legittimare il ricorso all’in house providing, assegnando a tale modello di gestione una portata residuale rispetto al ricorso al mercato.
5. La portata dell’onere motivazionale
Il nuovo codice appalti e il d.lgs. n. 201 del 2022 sembrano prevedere, in tema di in-house, oneri motivazionali differenziati. Come si conciliano le due disposizioni?
A tal proposito occorre evidenziare che, con specifico riferimento al settore dei servizi pubblici locali, il legislatore ha disposto al comma 3 che “L’affidamento in house di servizi di interesse economico generale di livello locale è disciplinato dal decreto legislativo 23 dicembre 2022, n. 201”.
È dunque preferibile ritenere che, con riferimento a quest’ultimi, debba trovare applicazione il più gravoso onere motivazionale previsto dal testo unico sui servizi pubblici locali, il quale richiede all’amministrazione – in aggiunta a quanto previsto anche dal codice appalti – di dare conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato.
La disciplina generale contenuta nel codice appalti, dunque, assume in tema di servizi pubblici una valenza residuale, rimanendo applicabile all’affidamento di attività amministrative non strumentali, ai servizi pubblici nazionali di rilevanza economica e e ai servizi pubblici locali privi di rilevanza economica di importo inferiore alle soglie comunitarie.