1.- La governance del ciclo rifiuti. 2.- La scelta della modalità di affidamento e gestione del servizio. 3.- La natura giuridica dell’EdA 3.- 4. La legittimazione ad impugnare del Comune dissenziente
1. La governance del ciclo rifiuti
Il sistema di governance in materia di ciclo integrato dei rifiuti è particolarmente articolato e distribuito su plurimi livelli. Sebbene la legge annoveri tra le funzioni fondamentali dei Comuni «l’organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi» (cfr., l’art. 14, comma 27, del-decreto legge 31 maggio 2010, n. 78), tutt’ora il legislatore ha inteso riservare allo Stato le principali funzioni di coordinamento generale del sistema, di indirizzo dell’attività pianificatoria delle Regioni, di uniformazione della normativa tecnica e dei contenuti autorizzatori (art. 195 del d.lgs. n. 152 del 2006). Tali funzioni sono esercitate in primis dal Ministro dell’ambiente attraverso due strumenti di tipo programmatorio, vale a dire: i) il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti e ii) il Programma nazionale di gestione dei rifiuti, il quale costituisce il principale atto di indirizzo dell’economia circolare che fissa i macro-obiettivi, i criteri e le linee strategiche cui Regioni e Province autonome si attengono nella elaborazione dei Piani regionali di gestione dei rifiuti.
In attuazione del Programma nazionale, le Regioni curano a loro volta «la predisposizione, l’adozione e l’aggiornamento, sentiti le province, i comuni e le Autorità d’ambito, dei piani regionali di gestione dei rifiuti» (art. 196, del d.lgs. n. 152 del 2006).
I Comuni concorrono a disciplinare la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti, secondo quanto previsto dall’art. 198 del d.lgs. n. 152 del 2006. Al fine di evitare la frammentazione nello svolgimento dei servizi e di raggiungere una scala di operatività ottimale, i Comuni esercitano tali competenze in forma collettiva all’interno dell’Ente di Governo dell’ambito, quali partecipano obbligatoriamente tutti i Comuni ricadenti nell’ambito, che svolgono il compito di organizzare i servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli del ciclo dei rifiuti urbani, di scegliere la forma di gestione, di determinare le tariffe all’utenza per quanto di competenza, di affidare la gestione e relativo controllo, di approvare i Piani d’ambito.
In tale già complesso sistema di governance si inserisce, infine, l’ARERA, cui sono attribuite sia funzioni di regolazione della qualit (ad es. con la previsione di standard tecnici e qualitativi) che di regolazione tariffaria (art. 1, comma 527, l. n. 205/2017).
Il coinvolgimento di quest’ultima nel settore dei rifiuti, come osservato dal Consiglio di Stato, «riflette l’esigenza di correggere i fallimenti dell’intervento pubblico locale nella regolazione dei servizi a contenuto economico, ponendo rimedio alla tendenza localistica a far prevalere visioni politiche all’efficienza economica del servizio affidato e neutralizzando il conflitto di interessi che grava sugli enti locali» (Cons. Stato, Sez. II, 7.3.2024, n. 2255).
2. La scelta della modalità di affidamento e gestione del servizio
Ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 201 del 2022, i servizi pubblici locali, ivi compreso il servizio di gestione dei rifiuti, possono essere affidati secondo una delle seguenti modalità alternative: 1) affidamento a terzi mediante procedura ad evidenza pubblica; 2) affidamento ad una società mista pubblico-privata, come disciplinata dall’art. 17 del d.lgs. n. 175/2016; 3) affidamento ad una società in house, nei limiti e secondo le modalità di cui al d.lgs. n. 175/2016.
Per quanto concerne la gestione dei rifiuti, l’art. 198, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 152/2006 specifica che «I comuni concorrono, nell’ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali di cui all’articolo 200 e con le modalità ivi previste, alla gestione dei rifiuti urbani».
A propria volta, l’art. 200 prevede che la gestione dei rifiuti urbani sia organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali, delimitati dal piano regionale nel rispetto delle linee guida che la Regione stessa stabilisce, e secondo criteri indicati dalla norma stessa, in particolare quello del superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti.
3. La natura giuridica dell’EdA
Come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, l’EdA è un organo di tipo collegiale, autonomo e “trascendente” rispetto ai singoli Comuni che ne fanno parte.
Mediante tale tipologia di ente viene, difatti, superata “una ottica di parcellizzazione della gestione dei servizi pubblici a livello dei singoli enti per realizzare economie di scala realizzando una migliore utilizzazione delle risorse pubbliche” (Cons. Stato, Sez. IV; 27.5.2024, n. 4792). In altre parole, con l’Ente di Governo dell’ambito si compie un passo ulteriore “verso la responsabilizzzazione di un nuovo ente che si distingue ancora di più dagli enti che vi partecipano” (ibidem). Trattasi, quindi, di un ente autonomo e distinto dai singoli comuni partecipanti, sebbene questi ultimi “rimangono capaci di tradurre il proprio indirizzo politico in una reale azione di influenza sull’esercizio delle funzioni” (Corte Cost., n. 33/2019).
Da tale configurazione ne discende che il singolo Comune dissenziente (pur potendo esprimere il proprio voto negativo in sede assembleare) non può opporre un potere di veto ed è, anzi, obbligato a recepire la delibera entro il proprio ordinamento interno.
4. La legittimazione ad impugnare del Comune dissenziente
Sebbene sia obbligato a recepire la delibera approvata a maggioranza dall’EdA, il Comune dissenziente è comunque legittimato ad impugnare la delibera assunta dall’EdA, godendo sia di una “doppia” legittimazione processuale sia in quanto partecipante all’EdA che in quanto ente esponenziale.
In relazione al primo aspetto, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di chiarire che “i singoli membri di un organo collegiale sono legittimati ad impugnare le deliberazioni del collegio di cui fanno parte solo se fanno valere le pretese al regolare svolgimento del loro ufficio, giacché, ove fossero legittimati ad impugnare le deliberazioni alla cui assunzione hanno partecipato, verrebbe alterato lo stesso principio della collegialità dell’organo deliberante e del rispetto, da parte della minoranza, della volontà della maggioranza regolarmente formatasi, che è volontà imputabile all’organo” (TAR Campania, Salerno, Sez. I, n. 2958 del 14.12.2023 ).
Pertanto, sulla base del richiamato orientamento, “la legittimazione all’impugnazione delle deliberazioni collegiali può essere riconosciuta laddove siano addotte violazioni procedurali direttamente lesive del munus rivestito dal componente dell’organo o vengano in rilievo atti incidenti in via diretta sullo ius ad officium, che compromettano il corretto esercizio del mandato” (TAR Campania, Salerno, Sez. I, n. 2958 del 14.12.2023).
Si tratta, dunque, di una forma di legittimazione in qualche misura attenuata, in quanto non generale e assoluta ma riconosciuta solo nella misura in cui il contenuto della deliberazione si rifletta negativamente sulla posizione del Comune stesso all’interno dell’E.d.A., pregiudicandone le facoltà partecipative.
In secondo luogo, un distinto profilo di legittimazione processuale può essere ricondotto alla configurazione del Comune quale ente esponenziale della collettività di riferimento, con riguardo alla lesione degli interessi propri della Comunità locale dallo stesso rappresentata.
Ed infatti, proprio con riguardo ad ipotesi di impugnazione da parte di un Comune di deliberazioni adottate dall’Ambito Territoriale Ottimale di riferimento, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di affermare che “il Comune deve intendersi titolato, quale ente esponenziale degli interessi riferibili alla collettività dei residenti nel suo territorio (come, peraltro, espressamente sancito dall’art. 3 comma 2, d.lg. 18 agosto 2000 n. 267), all’impugnazione dei provvedimenti che hanno attitudine a produrre effetti pregiudizievoli per la comunità locale dallo stesso rappresentata” (Cons. giust. amm., sez. giurisd., 19 gennaio 2010, n. 45) e che “il Comune, anche se spogliato di specifiche competenze, nella sua qualità di Ente esponenziale, portatore in via continuativa di interessi diffusi radicati nel proprio territorio che fanno capo ad una circoscritta e determinata popolazione residente, è, in astratto, portatore di un interesse pubblico differenziato e qualificato, diverso da quello di cui è titolare l’Autorità nel quale rientra e non può essergli negata a priori la legittimazione a ricorrere” (Consiglio di Stato, sez. V, 14 aprile 2008, n. 1725, relativa all’impugnazione di un provvedimento di localizzazione di una discarica di rifiuti)” (TAR Campania, Salerno, Sez. I, n. 2958 del 14.12.2023).
Nondimeno, l’ammissibilità dell’impugnazione della delibera del SAD non può in ogni caso prescindere dai principi generali in materia di impugnazione degli atti di organi collegiali da parte dei componenti dell’organo che hanno partecipato all’atto deliberativo.
A tal proposito, “è regola che il componente dell’organo collegiale che non sia assente dalla seduta, manifesti il proprio dissenso alla delibera e che il dissenso venga verbalizzato decadendo altrimenti dalla stessa possibilità di impugnazione. Un diverso comportamento, quale la partecipazione attiva alla seduta e alla votazione favorevole alla approvazione della delibera, comporta la imputabilità del deliberato anche al componente presente non dissenziente, ovvero acquiescenza al provvedimento (Consiglio Stato, sez. V, 7 novembre 2007, n. 5759)” (Cons. Stato, Sez. V, n. 4238 del 2.7.2010).