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Costi della manodopera sottostimati: non sussiste onere di immediata impugnazione

Pubblicato il 26 Agosto 2025

da: Antonella Mascolo

TAR Campania, Sez. IX, 22 agosto 2025, n. 5957

La vicenda

Una società ha impugnato il bando di gara lamentando che il costo della manodopera a base d’asta fosse inferiore ai minimi retributivi previsti dal contratto collettivo applicato dalla stazione appaltante. Secondo la ricorrente, tale previsione integrava una clausola escludente, in quanto ostativa alla formulazione di un’offerta economicamente sostenibile, e dunque soggetta a immediata impugnazione.

La motivazione del TAR

Il TAR Campania ha respinto la censura, escludendo la natura immediatamente escludente della clausola.

Il Collegio ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l’obbligo di immediata impugnazioneriguarda unicamente le clausole che impediscono in via diretta e attuale la partecipazione alla procedura. Rientrano in tale categoria, ad esempio, le disposizioni che impongono oneri sproporzionati, prevedono condizioni abnormi o irragionevoli, rendono impossibile la valutazione di convenienza tecnica ed economica, o presentano carenze essenziali nella formulazione dell’offerta (Cons. Stato, Ad. Plen. 29 gennaio 2003, n. 1 e, da ultimo, id., Ad. Plen., 26 aprile 2018, n. 4).

Il carattere escludente, precisa il TAR, ricorre solo quando la clausola precluda in modo oggettivo e macroscopico la presentazione di un’offerta da parte di un normale operatore economico (Cons. Stato, V, 18 marzo 2019, n. 1736).

Nel caso di specie, tale effetto non è stato ravvisato: da un lato, otto operatori avevano comunque partecipato alla procedura; dall’altro, anche il consorzio ricorrente aveva presentato offerta. Pertanto, conclude il TAR, “escluso, dunque, che la previsione impugnata abbia carattere impeditivo alla partecipazione, L (nel caso di specie, un’eventuale esclusione della ricorrente dalla gara)”.

Il commento

La soluzione adottata dal TAR appare non del tutto convincente.

L’art. 41, commi 13 e 14, del D.Lgs. n. 36/2023 stabilisce infatti che la stazione appaltante debba determinare la base d’asta facendo inderogabile riferimento alle tabelle ministeriali, con la finalità – di rilievo costituzionale – di assicurare ai lavoratori una giusta retribuzione. Tale vincolo, secondo costante giurisprudenza, è volto ad impedire che la competizione tra operatori economici si traduca in un indebito abbattimento dei costi del lavoro, con effetti pregiudizievoli per i diritti dei dipendenti impiegati nella commessa (TAR Toscana, I, 9 aprile 2024, n. 389). In tal senso, anche l’ANAC ha precisato che non è ammissibile per la stazione appaltante indicare, già nella base d’asta, costi della manodopera inferiori a quelli tabellari (Delibera 4 aprile 2023, n. 143).

Alla luce di tali principi, la sottostima del costo della manodopera non rappresenta una mera irregolarità della lex specialis, ma un vizio sostanziale che incide direttamente sulla legittimità della procedura. Ammettere che tale vizio non sia immediatamente impugnabile comporta il rischio di svuotare di effettività la tutela: l’aggiudicatario difficilmente potrà agire contro una clausola che ha accettato formulando l’offerta, mentre i concorrenti non aggiudicatari, pur legittimati, avranno interesse a sollevare la questione solo in funzione demolitoria dell’intera procedura.

Si delinea così un vuoto di tutela: la clausola illegittima rischia di permanere indenne, producendo effetti sia sulla corretta remunerazione dei lavoratori sia sull’equilibrio concorrenziale del mercato.

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